Gare gas, le richieste dell’Anci e la “riflessione” sulla durata delle concessioni

I Comuni insistono sul valore delle reti di proprietà pubblica e sugli ammortamenti. Assogas propone di valutare un allungamento a 30 anni. E si amplia la distanza dai “grandi” .

Perché le gare gas faticano così tanto? L’ a.d. di Italgas Paolo Gallo ha sempre dato una spiegazione univoca: le stazioni appaltanti non sono in grado di gestire da sole procedure così complesse e hanno bisogno di un supporto. Ruolo che peraltro sembrava poter assumere la “Centrale per la progettazione delle opere pubbliche” prevista nel Ddl bilancio, ora però messo in dubbio da un emendamento dei relatori. Sebbene con il contemporaneo rafforzamento del ruolo del “promotore” previsto dal Codice appalti.  Nello stesso disegno di legge, però, l’Anci ha provato a far passare due emendamenti (bocciati alla Camera in quanto inammissibili per materia) volti a riconoscere ai Comuni una maggiore valorizzazione delle reti di loro proprietà, nonché l’ammortamento degli impianti.

Solo due tra le richieste avanzate dall’associazione anche nel proprio quaderno operativo sulle gare gas e ribadite in occasione del recente convegno promosso da Anci Lazio e dal Consorzio Reti Gas. Richieste che hanno subito causato la reazione dei “grandi”. Nello specifico del d.g. di Utilitalia Giordano Colarullo, che ha messo in guardia contro “interventi normativi a tutto tondo” sulle gare gas che “riaprirebbero elementi di equilibrio industriale raggiunti con grande difficoltà in tanti anni”. Ma il fronte dei Comuni sembra trovare l’appoggio anche dei piccoli-medi operatori riuniti in Assogas. Il cui d.g. Giampaolo Russo non solo supporta le tesi dell’Anci sulla valorizzazione delle reti, ma propone anche una “riflessione” sulla durata delle concessioni.

“Con gli attuali 12 anni – sottolinea a QE – è veramente arduo ammortizzare gli investimenti. Inoltre, atteso l’obiettivo della piena decarbonizzazione al 2050, potrebbe avere senso allungare le concessioni fino a quella data, quindi a 30 anni. O almeno raddoppiarle a 24 anni”.

Ovviamente tutto ciò imporrebbe una revisione abbastanza profonda delle attuali regole. E soprattutto porterebbe a dover annullare le (poche, a dire il vero) procedure fin qui avviate. La stessa Anci ricorda che l’unica gara conclusa è quella di Milano (certo, la seconda per dimensioni dopo Roma), con l’aggiudicazione al gestore uscente A2A. Almeno in attesa dell’esito del ricorso della seconda classificata 2i Rete Gas. A Torino 2, Italgas è unico offerente mentre a Belluno sono state presentate ma ancora non aperte le offerte (anche qui si attende il responso della giustizia amministrativa). Poi ci sono una decina di bandi con scadenza a fine 2018 e 11 bandi sospesi. Il fatto è che per Anci e Assogas la lentezza del processo è dovuta in buona parte proprio alle attuali regole, che rendono non solo complesse ma anche poco convenienti le procedure. In occasione del convegno, l’Associazione dei Comuni ha posto una serie di temi. Oltre all’aspetto concorrenziale (troppo dipendente “dal grado di penetrazione dell’incumbent”), il focus è soprattutto sui parametri economici. Innanzitutto, sottolinea l’Anci, il canone offerto nelle gare fin qui disputate è “estremamente ridotto”: 3% a Milano e 2,5% a Torino 2. Poi i nodi già sottolineati: la necessità di modificare il DM del Mise sul contratto tipo per riconoscere la quota di ammortamento degli impianti ai Comuni/società patrimoniali e il riconoscimento di “un congruo valore” delle reti pubbliche. Da questo punto di vista, l’Associazione rimarca che la Rab non può essere il “Sacro Graal” per la valutazione dei cespiti. Da una parte si evidenzia la forte variabilità: per le località fino a 50 mila abitanti si va da un minimo di 607 €/Pdr a un massimo di 903 €/Pdr, per quelle tra 50 e 300 mila abitanti da 481 a 903 €. Dall’altra, si ricorda che nelle gare per la vendita delle reti indette finora da alcuni Comuni “il mercato (i distributori) è stato disposto a pagare anche più del valore residuo calcolato a Vir”: 4,098 mln € per Busseto (205% delta rab) e 14,015 mln per Fidenza (144% delta Rab). Quindi “perché un Comune dovrebbe accettare valutazioni del proprio patrimonio ad un valore n-volte più basso”? chiede l’Anci. Proponendo invece di ritornare alla “Rab parametrica” ricostruita su “quella più alta dell’Atem ove vi siano condizioni, caratteristiche territoriali e modalità di erogazione del servizio molto simili”.

Come già sottolineato dal d.g. di Utilitalia Colarullo, c’è però il tema delle ripercussioni in bolletta per i consumatori. Ma per l’Anci “il contenimento delle tariffe non può essere fatto gravare sulla sola parte pubblica”. E dovrebbe invece coinvolgere i distributori, “congelando” l’aumento del Wacc deciso dall’Arera.

Tutti temi che rischiano di ampliare sempre più la distanza con i grossi player del settore.   Carlo Maciocco – QE, 18-12-18

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